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Trust liquidatorio

Trust liquidatorio in favore dei creditori con conferimento di immobile: si paga solo l’imposta di registro a tassa fissa.

Quale imposta applicare al trust liquidatorio istituito dai fideiussori con conferimento di immobili al fine di pagare i debiti contratti dalla società debitrice principale?

L’agenzia delle Entrate ha sempre sostenuto che nella fattispecie fosse applicabile l’imposta di successione e donazione perché con l’istituzione del trust si costituisce comunque un vincolo di destinazione sui beni in esso conferiti, che rivela la maggiore capacità contributiva del disponente, a seguito del conseguimento dell’utilità economica data dall’effetto di segregazione, a prescindere dall’individuazione dei beneficiari finali dell’atto.

Questa soluzione, però, si basa su una errata interpretazione della normativa sulle successioni e donazioni.

Erronea interpretazione confermata dalla Corte di Cassazione, sezione Tributaria, nella recente sentenza del 12.01.2021 n. 224. Deve osservarsi, infatti, che il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, al comma 47, ha istituto l’imposta sulle successioni e donazioni “sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.

Nel reintrodurre nell’ordinamento la imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dalla L. n. 383 del 2004, art. 13), la norma sopra citata ha rimodulato la configurazione del tributo ed ampliato la base impositiva con l’inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione.

La Corte di Cassazione superando le incertezze interpretative originariamente sorte, è oramai consolidata nel ritenere che il citato art. 2, comma 47, abbia mantenuto, come presupposto impositivo, quello stabilito dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 1, e cioè il “reale trasferimento” di beni o diritti, e quindi il “reale arricchimento” dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d’imposizione (oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche) la costituzione dei vincoli di destinazione, per evitare che un’interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all’abrogato D.Lgs. n. 346 del 1990, potesse portare, in tali ipotesi, all’esclusione dell’imposta, che invece non era contemplata nel D.Lgs. n. 346 del 1990, semplicemente perchè, all’epoca, la costituzione di tali vincoli non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019 e, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

Tale soluzione risponde alla necessità di operare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuendo giusto rilievo al fatto che l’imposta disciplinata dal D.Lgs. n. 346 del 1990, richiamato dall’art. 2, comma 47, sopra riportato, non può non essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”.
Sostiene la Cassazione che “nell’ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c., come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l’istituzione di un trust, ma ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’imposta in questione, perchè deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un’acquisita maggiore capacità contributiva” (Cass. Sez. Tributaria, 12/01/2021 n. 224).

Il legislatore, quindi, ferma restando l’indubbia sua discrezionalità nell’individuare i presupposti del tributo, quest’ultimo deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza, e di non arbitrio (Corte Cost., sentenza del 15/03/2015, n. 83), perchè la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, esige l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (così Corte Cost., ordinanza del 28/11/2008 n. 394).

Secondo la Cassazione, dunque, l’istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, e pertanto non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva di quest’ultimo. I beni e i diritti non sono a lui attribuiti in modo definitivo, essendo egli tenuto solo ad amministrarli e a disporne (se richiesto), in regime di segregazione patrimoniale, in vista del trasferimento che dovrà poi compiere.

Viene così definitivamente censurata la prospettazione dell’Agenzia, secondo cui la costituzione del trust produce un effetto incrementativo della capacità contributiva del disponente, il cui patrimonio non subisce alcun miglioramento. Così come deve negarsi la tesi secondo cui, grazie alla sola costituzione del trust, i terzi beneficiari, ove esistenti, acquisiscono già un qualche incremento patrimoniale, comportante una maggiore capacità contributiva, verificandosi tale effetto migliorativo nella sfera giuridica di questi ultimi solo quando il trustee abbia portato a termine l’attività ad esso demandata, per la quale ha ottenuto l’attribuzione strumentale e temporanea della titolarità dei beni.

In conclusione, la strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica la neutralità fiscale, tenuto conto che l’indice di ricchezza, al quale deve sempre collegarsi l’applicazione del tributo, non prende consistenza prima che il trust abbia attuato la propria funzione (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

L’imposta sulle successioni e donazioni, prevista dal citato art. 2, comma 47, è dovuta, pertanto, non al momento dell’istituzione del trust o in quello di dotazione patrimoniale dello stesso, fiscalmente neutri, ma semmai in seguito, al momento dell’eventuale trasferimento dei beni o dei diritti ai terzi beneficiari, perchè, come sopra evidenziato, solo tale atto costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell’art. 53 Cost. (così Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019; Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019).

Dott.ssa Laura Cento
Commercialista – Esperta in Trust e Protezione del Patrimonio